Riforma pensioni, Quota 100 ed il superamento della Legge Fornero

La riforma delle pensioni, Quota 100 e la flessibilità in uscita. Le dichiarazioni di Elsa Fornero e l'analisi di Luigi Metassi.

Riforma pensioni: soluzione condivisa tra Governo e sindacati per superare la legge Fornero. Il punto di Luigi Metassi

La riforma delle pensioni oggetto del confronto tra Governo e sindacati ha come obiettivo finale il “superamento” della Legge Fornero, con l’introduzione di nuove regole che consentano una flessibilità in uscita strutturale dal mondo del lavoro. “Era più che legittima l’aspettativa che vi sarebbe stato un intervento sull’età di pensionamento per ridurla rispetto alla nostra riforma del 2012”, ha commentato la professoressa Elsa Fornero, in un’intervista a “formiche,net”.

Ma Quota 100 per l’economista è “un provvedimento che aveva un eminente carattere elettorale”.  “Lo scalone di cui tutti parlano è un’inevitabile conseguenza della Quota 100 che è stata messa lì, diciamocelo, per intrappolare anche le decisioni di chi viene dopo”, ha dichiarato l’economista, precisando, in riferimento alla proposta dei sindacati di consentire il pensionamento intorno ai 62 anni d’età: “Mandare in pensione le persone a 62 anni vuol dire farne dei futuri poveri perché tra qualche lustro quelle persone potrebbero trovarsi con carenze di risorse e spingeranno i futuri esecutivi per allentare le maglie e aumentare la spesa”.

Riforma pensioni: superamento della Legge Fornero o sua evoluzione?

Luigi Metassi, amministratore del “Comitato difesa e tutela pensioni”, ideatore del blog “Il Volo della Fenice”, ha analizzato per  MyMagazine le ipotesi di riforma delle pensioni circolanti in questi giorni, puntualizzando: “In realtà, si sta discutendo scompostamente sui requisiti senza mettere in discussione le regole di fondo; si pretende di stabilire le regole senza conoscerne le variabili e men che meno gli effetti che da tali regole ne scaturirebbero”.

“Il processo riformista avviato da governo e parti sociali è appena iniziato. Più che di progetto allo stato embrionale, direi che si è tuttora alla ricerca di un evento fecondante di una idea ancora monocellulare: superare la legge Monti – Fornero. Nonostante questo, nei social e nei commenti ai media, le ipotesi si sprecano anche se, il più delle volte, appaiono viziate da una visione semplicistica, prematura e soprattutto estremamente individualista, non di rado inutilmente urlata con toni velleitariamente imperativi. In realtà, si sta discutendo scompostamente sui requisiti senza mettere in discussione le regole di fondo; si pretende di stabilire le regole senza conoscerne le variabili e men che meno gli effetti che da tali regole ne scaturirebbero.

Che l’aver posto il limite per la pensione di vecchiaia a 67 anni sia un eccesso, in special modo per le donne, non c’è alcun dubbio; va abbassato. Siamo peró certi che, se non si rivedono le regole, lasciando il lavoro a 62 o a 64 anni, si avrà ancora diritto ad una pensione adeguata a garantire una pensione dignitosa? Siamo certi che, nonostante una eventuale inconvenienza economica, a farci propendere per il prepensionamento, più o meno coatto, potrebbe essere in futuro l’azienda stessa? In un mondo sempre più automatizzato e informatizzato, la riduzione del personale (soprattutto se anziano) è nell’ordine delle cose, tant’è che nei paesi nordici si sta andando sempre più in direzione della riduzione dell’orario a parità di stipendio mentre qui stiamo a discutere della “generazione due euro”. A prima vista puó sembrare cosa di poco conto ma non lo è.

Intanto, bisogna ricordare che il discorso riguarda solo la quota parte contributiva che, se oggi afferisce alla parte preponderante del montante contributivo, entro un decennio finirà per afferire alla sua totalità. Gli attuali coefficienti di trasformazione, validi per il triennio 2019/2020, assegnano un fattore 5,604 all’età anagrafica di 67 anni e di 4,657 se il pensionamento avviene a 62 anni. Questo significa che, a 62 anni, stanti le attui regole di calcolo, la quota parte contributiva vale l’ 83% di quanto varrebbe a 67. In parole semplici, la quota contributiva si riduce del 17%. Ma non basta, perchè nel monte contributivo non entrerebbero cinque anni di versamenti che rappresentano 1/8 di un fronte ipotetico di 40 anni di lavoro, quindi una ulteriore riduzione del 12,5%. Considerato che chi va in pensione oggi ha meno 20 anni di contributivo nel conto, non mi sembra che si possa parlare di effetti irrilevanti e ancor meno credo lo si possa dire nei confronti delle generazioni future che avranno la pensione calcolata esclusivamente col metro contributivo”.

Le pensioni di garanzia e la previdenza complementare

“Altro aspetto importante, da non sottovalutare, è la cosiddetta pensione di garanzia. È necessario rivedere il sistema di calcolo anche in questa prospettiva perchè la pensione di garanzia deve essere una base (previdenziale, assistenziale o mista a seconda dei casi) che va a sommarsi alla pensione maturata e non semplicemente una integrazione alla liquidazioni insufficienti. In caso contrario, diverrebbe un disincentivo alla contribuzione o anche al lavoro stesso. Chi mai sarebbe disposto a lavorare vent’anni o più per prendere, in futuro, magari cinquanta euro in più di pensione? Proseguendo nella disamina, il cosiddetto terzo pilastro non sarà affatto la panacea a tutti i mali ma rischierà di sperequare ulteriormente il divario tra chi puó contare su redditi elevati e chi no, tra famiglie multi e monoreddito, tra occupati stabili e precari. Un rider difficilmente potrà accantonare somme tali da garantirsi un adeguato terzo pilastro”.

La questione femminile 

“Infine, due parole sulla questione femminile: riconoscere uno sgravio contributivo alle madri è cosa buona e giusta ma limitarsi a questo significa perseverare nel disconoscere la più ampia parte della funzione sociale svolta quotidianamente dal genere femminile, significa restare prigionieri del concetto della donna quale mero strumento riproduttivo. A prescindere da questo, equiparare l’età di vecchiaia delle donne a quella degli uomini ha un sapore vessatorio che non tiene conto dell’enorme percentuale di carriere discontinue che penalizza il genere; carriere sovente interrotte per salute, gravosità dei lavori svolti, abusi sul posto di lavoro, dimissioni in bianco, cura dei famigliari e quant’altro.

Da tutto questo appare con evidenza che sarà solo attraverso un atteggiamento di consapevolezza e di oggettività nei confronti delle molteplici problematiche nel loro complesso che si potrà che si realizzerà il superamento della Monti – Fornero. In caso contrario, si rischierà di andare incontro alla sua ferale evoluzione”.

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