Pensioni, Opzione donna e gap di genere: tutte le ultime novità

Le ultime novità sulle pensioni anticipate in regime di Opzione donna. Le dichiarazioni di Camusso, Bocchi e Veronese sulla parità di genere.

Pensioni anticipate: proroga di Opzione donna nella prossima legge di bilancio e poi misura strutturale?

Le ultime novità su Opzione donna vengono dall’audizione dell’Inps presso le Commissioni riunite Affari sociali e lavoro della Camera, nell’ambito della conversione in legge del decreto 28 gennaio 2019, n.4 recante misure urgenti in materia di Reddito di cittadinanza e pensioni. Il Direttore Generale Gabriella di Michele ha illustrato le misure contenute nel cosiddetto “Decretone”, precisando che lo strumento per le pensioni anticipate definito “Opzione donna”, non è la proroga del regime sperimentale scaduto il 31 dicembre 2018, “ma un nuova Opzione donna, perché ha caratteristiche diverse”.

Il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 introduce, dal 1° gennaio 2019, la pensione anticipata Opzione donna (art. 16): al perfezionamento, entro il 31 dicembre 2018, di un’anzianità contributiva non inferiore a 35 anni e un’età anagrafica non inferiore a 58 anni se lavoratrici dipendenti, e a 59 anni se lavoratrici autonome, con il sistema di calcolo contributivo, conseguendo il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi 12 mesi, per le lavoratrici dipendenti, e 18 mesi, per le lavoratrici autonome, dalla maturazione dei prescritti requisiti, c.d. finestra. 

Monitoraggio delle domande per la nuova Opzione donna

L’Ente previdenziale ha presentato una relazione circa il monitoraggio delle domande pervenute per l’accesso alla misure pensionistiche contenute nel decreto legge. Con riferimento ad Opzione donna, l’Istituto ha riferito che dalla data di entrata in vigore del Decreto legge n. 4, 29 gennaio 2019, al 5 marzo 2019 sono pervenute circa 7.400 domande. Le regioni dove è stato presentato il maggior numero di domande sono, nell’ordine: la Lombardia (1.566), l’Emilia Romagna (808) e il Piemonte (734). Circa il 75% delle interessate si colloca nella fascia d’età tra i 58 e i 60 anni, il 15% in quella successiva, tra i 61 e i 62 anni e il restante 10% nelle altre fasce d’età.

Circa 5.670 domande, pari al 77% delle domande pervenute, è riferito a soggetti che chiedono il pensionamento in fondi della gestione privata. In particolare sono pervenute circa 4.260 domande di pensionamento nel FPLD, circa 570 da commercianti e oltre 320 CD/CM. Delle circa 7.710 domande presentate nella gestione pubblica, si osserva una netta prevalenza delle richieste di pensionamento nella Cassa Stato con circa 1.100 domande di cui oltre 970 riferite a docenti e altro personale della scuola.

Pensioni e lavoro: la parità è ancora lontana

Da uno studio della Uil sulle donne ed il lavoro, emerge  che le donne che lavorano, in Italia, sono ancora troppo poche, con un tasso di occupazione femminile molto lontano dagli obiettivi Europei (60%): nel terzo trimestre 2018, si attesta al 49,4%, rispetto al 68,5% del tasso di occupazione maschile. Le retribuzioni delle donne, inoltre, continuano a essere nettamente inferiori rispetto a quelle degli uomini, con un gap retributivo del 31,5% nel settore privato.

“Tra scoraggiamento e motivi familiari, in Italia, le donne che non lavorano sono circa 3,5 milioni, a fronte di 677 mila uomini inattivi per le medesime motivazioni. Se guardiamo alla mancata ricerca di un lavoro per motivi familiari, e quindi di cura connessi alla presenza di familiari anziani e figli, si rileva che il rapporto donna/uomo che non lavorano per tale causa è di 20 a 1. Dall’insufficienza dei servizi di cura (servizi per l’infanzia e assistenza ai non autosufficienti), unitamente all’alto costo per accedere a tali servizi, ne deriva una difficoltà per le donne di conciliare la vita privata con il lavoro. Ne è prova, non solo l’alto numero di donne inattive, ma anche l’alta percentuale di ricorso ad un orario di lavoro part-time:  3,1 milioni di donne sono in part- time rispetto a 1,1 milioni di uomini”, ha dichiarato Ivana Veronese, segretario confederale della Uil.

Lo studio della Uil ha, inoltre, analizzato il cosiddetto gender pay gap, attraverso l’ausilio di dati di fonte amministrativa (INPS) e del Ministero delle Finanze (MEF). “Da una nostra elaborazione effettuata sui dati dell’Inps – estratti dall’Osservatorio sui lavoratori dipendenti privati (al netto degli agricoli) – abbiamo riscontrato come, a parità di inquadramento contrattuale, le donne percepiscano una retribuzione media mensile inferiore, con retribuzioni molto basse per le lavoratrici del Mezzogiorno. 

Avvalendoci delle Dichiarazioni dei Redditi anno 2017, è stato ulteriormente possibile evidenziare un gender gap reddituale in cui, mediamente, la donna dichiara un reddito inferiore del 40,5% rispetto a quello dell’uomo (15.249 euro medi l’anno a fronte dei 25.614 euro degli uomini). Tutti questi dati dimostrano come la strada da percorrere sia ancora lunga: attivo e proattivo deve essere il nostro impegno a partire dalla contrattazione collettiva in ottica di genere”, ha sottolineato Veronese.

Contrattazione di genere

Susanna Camusso, responsabile delle Pari opportunità della Cgil nazionale, intervenendo al seminario “L’uguaglianza non ha genere” organizzato a Roma, presso la sede del Cnel, ha osservato che “spesso si discute solo di problemi di conciliazione. Se ci riduciamo a questo, stiamo dentro uno schema secondo cui la maternità rappresenta problemi per le imprese in quanto costi, cosi come la salute dei figli. Dobbiamo spostare, invece, i costi sugli uomini, renderli compartecipi della genitorialità.

C’è uno stereotipo diffuso delle lavoratrici che è in contrasto con la responsabilità e il far carriera. Gran parte del gap si basa sul fatto che premia la disponibilità intesa come presenza e modalità del lavoro, non la qualità di esso, una caratteristica che così esclude le donne. Se affermiamo un’uguale condizione, neghiamo però che esistono differenze, ciò vale sia per l’organizzazione del lavoro come per la riorganizzazione sociale. Attraverso la necessità di uguaglianza stiamo già precostruendo una nuova versione degli stereotipi”.

Nel corso del dibattito al Cnel, i segretari confederali della Uil, Tiziana Bocchi e Ivana Veronese, hanno dichiarato: “Sebbene la società sia profondamente cambiata in questi anni siamo ancora lontani dal considerare il lavoro delle donne come un investimento. Disoccupazione, difficoltà di accesso al lavoro e alla formazione, così come alle forme di salario accessorio, minori possibilità di carriera, riduzione involontaria di orario, discontinuità lavorativa e tipologia di attività svolta continuano a marcare differenze di genere in una organizzazione del lavoro che si muove, ancora oggi, entro i confini di un modello coniugato al maschile.

“La contrattazione collettiva rappresenta, e lo sarà anche in futuro, uno strumento fondamentale per supportare le lavoratrici attraverso un’organizzazione del lavoro maggiormente flessibile e per il rafforzamento di misure per la condivisione delle responsabilità genitoriali e di cura”.

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