Pensioni 2019: i punti deboli della riforma delle pensioni Lega-M5S

Le riforma delle pensioni Lega-Movimento Cinque Stelle non convince il Partito Democratico, in più sono rimasti fuori da ogni provvedimento gli esodati non salvaguardati.

Pensioni 2019: Quota 100 e rivalutazione, le ultime novità

Il decreto legge contenente il Reddito di cittadinanza, Quota 100 ed altre misure per le pensioni è stato approvato dalla Camera ed è approdato in Senato per la terza lettura. Nel corso della discussione in Aula alla Camera l’opposizione ha evidenziato alcuni dettagli della nuova misura per le pensioni anticipate che vengono giudicati come punti di debolezza del provvedimento.

L’On. Debora Serracchiani del Pd ha ribadito che Quota 100 non è il superamento della Legge Fornero. “È difficile immaginare qualunque riforma del sistema pensionistico che duri soltanto tre anni, quindi parte già col piede sbagliato, se non prende in considerazione il sistema in tutta la sua integrità. Noi siamo stati tra i primi a dire che la “riforma Fornero” è stata il frutto di un’epoca difficile, nella quale ci siamo assunti le nostre responsabilità, ma abbiamo altresì detto che quelle responsabilità non erano fini a se stesse, ma che andava riadattato il sistema, soprattutto con una ordinata flessibilità in uscita”.

Pensioni con Quota 100: una risposta parziale

“Oggi, questo Governo non fa nulla di tutto questo: non c’è ordine, non c’è organicità e non c’è neppure una visione rispetto a quello che sarà il sistema pensionistico nei prossimi anni. Non si pensa ai più fragili: nulla sui precoci, nulla sui lavoratori gravosi, nulla sui lavoratori usuranti. Non si pensa alle donne, e non si pensa neppure ai giovani, tant’è che non si forma nessun tipo di fondo che possa, in qualche modo, tutelare le prossime generazioni rispetto ad un sistema pensionistico che pensa solo all’oggi e non pensa al domani”, ha proseguito Serracchiani.

“È chiaro che stiamo parlando soltanto agli uomini, è chiaro che stiamo parlando soprattutto al Nord, ed è chiaro che stiamo parlando soprattutto ai dipendenti pubblici. Restano fuori le donne, resta fuori gran parte del sistema privato, ma soprattutto, non avendo pensato al sistema pensionistico nella sua organicità, non ci sono misure che aiutino quelle persone che non hanno un montante contributivo continuativo: l’Ape sociale è stato previsto e prorogato soltanto per un anno, “opzione donna” soltanto per un anno. E diciamo anche a questi pensionati, che sono soprattutto quelli che potranno permettersi “quota 100”, ovviamente di scegliere volontariamente di farlo, perché avranno delle pensioni medio alte che consentiranno loro di poter veder ridurre la loro pensione per i prossimi anni, perché naturalmente, se si va in pensione a 62 anni e con 38 anni di contributi, è chiaro che si avrà una pensione ridotta rispetto a quella che si sarebbe maturata”, ha puntualizzato il deputato dem.

Quota 100 non è una misura per le donne

“Durante le dichiarazioni di voto sulla fiducia ho sentito alcuni colleghi della maggioranza, se non sbaglio il collega della Lega, che esultava per il superamento della “legge Fornero”; ma io credo che sia noto a tutti, a noi, come a tutti i colleghi che siedono in quest’Aula, che la “legge Fornero” non è stata né superata, né cancellata: semplicemente, con “quota 100” si apre una finestra temporale, con un inizio che è il 2019 e una fine che è il 2021, durante la quale un determinato target di lavoratori potrà accedere all’anticipazione pensionistica, avendo maturato i requisiti, 62 anni e 38 anni di anzianità contributiva.

Questo target di lavoratori è proprio un target specifico: in genere, sono lavoratori che risiedono al Nord, hanno prestato la loro attività lavorativa nella pubblica amministrazione, ovvero nella grande industria e, per la maggior parte, sono uomini, perché “quota 100” non è un’opzione di anticipazione pensionistica a cui possano accedere le donne. Perché? Perché le donne, come ben sappiamo, in genere hanno una media di contribuzione di 25 anni, dovuta al fatto che scelgono spesso contratti di lavoro a tempo parziale, una donna su tre abbandona il lavoro dopo il primo figlio; e i dati ci dicono che dopo ogni figlio comunque una donna, anche mantenendo il lavoro, perde, in media, il 4 per cento della retribuzione, quindi, ovviamente poi il calcolo contributivo è legato al periodo di lavoro e anche al percorso retributivo. E questo perché? Perché nel nostro Paese, in maniera strutturale, ancora il carico familiare, la cura, il lavoro di cura e, ovviamente, la maternità è totalmente a carico delle donne“, ha dichiarato in Aula Romina Mura, deputato del Pd.

“Perché quando parliamo di problema della natalità, dobbiamo metterci in testa che il problema della natalità non lo risolveremo facendo fare retromarcia ai diritti delle donne. Mi riferisco, in particolare, alle riflessioni, agli spunti che sento in questi giorni, della serie: diamo alle donne il reddito di maternità, così rinunciano al lavoro e stanno in casa a fare figli; oppure delle donne che dovrebbero riappropriarsi della loro funzione naturale o infungibile. No. Io credo che sia ambizione di tutte le forze politiche che siedono in questo Parlamento, perché voglio pensare che queste riflessioni ed osservazioni siano estemporanee, siano così, fatte per propaganda, per dire, per andare controcorrente; io credo che l’ambizione di tutte le forze politiche che siedono in questo Parlamento sia di costruire le condizioni affinché, finalmente, le giovani donne non siano costrette a scegliere fra lavoro e maternità“, ha sottolineato Mura.

Gli esodati non salvaguardati

La questione degli esodati non salvaguardati è stata proposta in Aula da Antonio Viscomi, deputato del Pd, nel corso della discussione sul suo ordine del giorno, poi respinto. ” Presidente, confesso, per la verità, di provare disagio nel presentare oggi un ordine del giorno con cui chiediamo al Governo di adottare misure opportune per riconoscere, finalmente, all’ultima platea di lavoratori rimasti esclusi dalle otto salvaguardie già approvate, l’accesso al trattamento pensionistico con le regole antecedenti alla riforma introdotta con il decreto n. 201 del 2011. Il disagio nasce da ciò, Presidente, poiché nell’ottobre dello scorso anno la Commissione lavoro ha approvato una mozione unitaria, con il parere favorevole del sottosegretario Durigon, che impegnava, già allora, il Governo – cito testualmente – ad assumere tempestivamente: “…iniziative normative volte a tutelare il diritto di accesso al pensionamento della platea di lavoratori e lavoratrici rimasti esclusi e fuoriusciti dal mercato del lavoro e non entrati nel sistema previdenziale, a causa delle modifiche apportate al quadro legislativo dalla riforma Monti-Fornero”, ha precisato Viscomi.

Il deputato ha proseguito:”Il fatto è, Presidente, che a partire dal 2012 numerosi lavoratori e numerose lavoratrici sono stati condannati a un fenomeno che è conosciuto dalla cronaca con il nome di “esodati”, cioè persone che hanno sottoscritto accordi per uscire dal mondo del lavoro facendo affidamento sui criteri pensionistici precedenti alla legge n. 92 del 2012 e che, pertanto, con la modifica dei criteri per il riconoscimento del diritto alla pensione, dopo decenni di lavoro, si sono ritrovate a non essere più occupate e, però, imprevedibilmente, a non poter ancora accedere alla pensione.

Ora, c’è stato un lungo e complessissimo lavoro normativo per risolvere il fenomeno degli esodati e questo lavoro ha portato al varo di ben otto salvaguardie, attraverso disposizioni normative che hanno interessato complessivamente poco più di 142 mila lavoratori, su un totale teorico di oltre 203 mila lavoratori stimati come aventi diritto. Uno scostamento significativo, che ha comportato, però, risparmi di spesa; basti pensare che rispetto alla platea di 30.700 unità prevista dall’ottava salvaguardia è stato riconosciuto il diritto al trattamento soltanto a metà dei richiedenti. Tuttavia, queste otto manovre non sono state sufficienti; per questo è ancora prioritario e urgente intervenire per consentire l’accesso all’assegno pensionistico alla platea di uomini e donne in questione stimati ad oggi in circa 6 mila, che stanno vivendo una condizione di grande disagio sociale, perché rimasti da anni senza un reddito. È un provvedimento di giustizia sociale nei confronti di queste persone che, a parità di diritto, rispetto a quelle già salvaguardate, non hanno potuto beneficiare delle precedenti manovre di salvaguardia.

Noi crediamo che l’intervento normativo dovrà essere definitivo e dovrà escludere parametri o limiti temporali che comportino un’irragionevole esclusione degli aventi diritto, considerando, tra l’altro, che le risorse finanziarie per coprire la manovra esistono e avanzano dalle precedenti salvaguardie”.

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