Carceri, il diritto all’affettività trova il pieno riconoscimento della Consulta

Una sentenza di pochi giorni fa della Corte Costituzionale ha delineato un punto fermo nel diritto all'affettività in carcere, che oggi trova il pieno riconoscimento.

Carceri

In una situazione carceraria di sovraffollamento e di criticità in cui versano le carceri italiane è fondamentale restituire alle famiglie e ai detenuti la possibilità di ricostituire il più importante dei rapporti sociali, quello dell’affettività familiare. Importante ed essenziale, ai fine dell’attuazione della funzione rieducativa della pena, è anche la predisposizione in carcere di percorsi formativi e lavorativi, destinati a garantire il successivo inserimento nel mondo del lavoro. È infatti dimostrato che la recidiva di condannati alla detenzione cala se l’ex detenuto ha la possibilità di reintegrarsi nel tessuto sociale tramite il lavoro. Affettività e percorsi di reinserimento rappresentano i punti cardine per una svolta dell’esecuzione penale.

La sentenza della Consulta segna un’importante apertura

All’interno del nostro sistema penitenziario si assiste ad una significativa apertura da parte della sentenza della Consulta n. 10/2024, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del divieto assoluto di colloqui intimi tra detenuti e familiari, statuendo il diritto all’affettività e alla sessualità in carcere. Si tratta del recupero di una sfera importante, quella dell’amore, un diritto che trova riconoscimento nella predisposizione, a determinate condizioni, di “spazi di espressione dell’affettività intramuraria, inclusa la sessualità”.

Con tale pronuncia, la Corte ha reso possibile l’accesso a colloqui riservati senza il controllo a vista da parte del personale della polizia penitenziaria. La una valutazione del caso concreto spetterà all’amministrazione penitenziaria, in prima battuta, e in caso di diniego a quella giurisdizionale del magistrato di sorveglianza. La Corte ha statuito che qualsiasi decisione diversa del legislatore dovrà rispettare il principio di proporzionalità e garantire l’effettività dell’esercizio del diritto di affettività.

La pena detentiva non può consistere nella privazione di diritti fondamentali della persona

Come ha ribadito la stessa Consulta la pena detentiva consiste nella privazione o limitazione della libertà personale, ma non nella negazione di tutti gli altri diritti dell’individuo, delle sue prerogative e delle sue facoltà. La pena comprime la libertà personale, ma non le altre libertà con divieti generali e astratti ingiustificati. Secondo la Consulta “la coattiva privazione dell’affettività sfocerebbe in un trattamento inumano e degradante, ledendo il diritto del detenuto al rispetto della propria vita privata e familiare”. Il legislatore dovrà tenere conto di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale e provvedere, stabilendone i modi idonei, a garantire l’esercizio dell’affettività dei detenuti.

Creare spazi abitati adatti alla realizzazione di tali momenti familiari

La storica sentenza della Corte costituzionale, che riconosce pienamente il diritto all’affettività e alla sessualità dei detenuti, ha indicato il dovere dell’amministrazione penitenziaria di organizzare appositi spazi affinché questo diritto sia esercitato, luoghi riservati e intimi, sottratti al controllo visivo e uditivo della polizia penitenziaria. In sostanza, si concepiscono spazi abitativi attrezzati e arredati, dove consentire al soggetto detenuto di vivere incontri con i propri familiari e momenti di intimità con la persona con cui ha una relazione affettiva.

Luoghi caratterizzati da un clima domestico, pur nel rispetto della dovuta sicurezza. Si tratta di un punto di svolta significativo per la tutela della dignità dei detenuti, per i quali la privazione della libertà non può e non deve significare anche la soppressione di altri diritti fondamentali della persona. La sentenza della consulta promuove un cambiamento in positivo di paradigma dell’esecuzione penale.

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