Morto il boss Totò Riina, il capo dei capi della mafia, da 24 anni al regime 41-bis!

E’ morto il boss Totò Riina. dal delitto Falcone e Borsellino alla trattativa Stato-mafia: 26 ergastoli la pena del capo dei capi della mafia.

Morto il boss Totò Riina, il capo dei capi della mafia, da 24 anni al regime 41-bis!

Il capo della mafia siciliana aveva appena compiuto (giovedì 16 novembre) 87 anni e da 24 anni era al regime 41 bis, il carcere duro per i reclusi più pericolosi. Non si è mai pentito. Fu arrestato il 15 gennaio del 1993 dopo 24 anni di latitanza, era ancora considerato dagli inquirenti il capo indiscusso di Cosa Nostra («U curtu», il boss delle stragi. Da Corleone ha sfidato lo Stato senza mai svelare i suoi segreti).

Nelle ultime settimane il peggioramento delle condizioni di salute di Riina

Nelle ultime settimane Riina aveva avuto un peggioramento e, dopo il doppio intervento chirurgico, i medici avevano da subito avvertito che difficilmente il boss, le cui condizioni sono da anni compromesse, avrebbe superato le operazioni. L’ulteriore peggioramento è stato una decina di giorni fa, quando il boss era stato trasferito nel reparto di rianimazione dell’ospedale Maggiore. La Procura di Parma ha disposto l’autopsia sulla salma, che verrà eseguita sabato. La decisione di procedere all’esame medico legale è stata presa «trattandosi di un decesso avvenuto in ambiente carcerario e che quindi richiede completezza di accertamenti, a garanzia di tutti», ha spiegato il procuratore Antonio Rustico. «Riina ha avuto un’assistenza sanitaria e cure adeguate fino all’ultimo momento – ha assicurato il ministro della Giustizia Orlando – Lo Stato ha garantito una cifra di civiltà che credo corrisponda alla propria natura democratica». Non ci saranno funerali per il boss: un sacerdote potrà dire una preghiera e una benedizione.

Sulle pagine Facebook dei figli di Totò innumerevoli i messaggi di condoglianze. «Per me tu non sei Totò Riina, sei il mio papà. E in questo giorno per me triste ma importante ti auguro buon compleanno papà. Ti voglio bene, tuo Salvo» Questo è stato scritto pubblicamente dal figlio Salvo (il post è poi stato rimosso). Salvo ha ricevuto centinaia di like e commenti di utenti che si sono uniti agli auguri per il padre. Anche la figlia su Facebook ha chiesto silenzio: tanti per lei i messaggi di condoglianze.

A causa delle sue condizioni di salute ormai irrecuperabili era stato chiesto l’allontanamento di Riina dal carcere. La Cassazione aveva chiesto al tribunale di Bologna (il boss è detenuto a Parma) di motivare adeguatamente la permanenza di Riina dietro le sbarre dato il suo precario stato di salute. Ma il permesso era stato negato perché il personaggio godeva «estrema attenzione e rispetto della sua volontà, al pari di qualsiasi altra persona che versi in analoghe condizioni fisiche»; in più e forse soprattutto era stato manifestato che il personaggio, benché in condizioni di salute critiche se fosse uscito di galera, e avesse fatto ritorno a Corleone, il suo paese natale, avrebbe potuto esercitare ancora un potere criminale. Rimasto ricoverato nel reparto ospedaliero del carcere di Parma, il suo stato era stato definito «lucido» e «vigile.» Gli ultimi cinque giorni di vita Riina li ha trascorsi in coma.

A conferma che il capo di Cosa Nostra aveva davvero le ore contate, poco prima della morte la Procura nazionale antimafia e dell’Amministrazione penitenziaria, il ministro guardasigilli, Andrea Orlando, aveva firmato il permesso per i figli di Totò Riina per permettere loro di vedere il padre nella struttura sanitaria a Parma. I familiari però non sono riusciti a incontrarlo prima che morisse. Secondo indiscrezioni, la figlia minore del boss sarebbe ancora a Corleone, un altro figlio è in carcere e sta scontando una condanna all’ergastolo, la figlia maggiore si è trasferita in Puglia.

Il delitto Falcone e Borsellino e la trattativa Stato-mafia: 26 ergastoli la pena di Riina

Totò Riina stava scontando una pena cumulativa di 26 ergastoli, il primo dei quali per un delitto commesso a Corleone negli anni ‘50. L’accusa più grave nei suoi confronti è quella per gli attentati costati la vita ai magistrati Falcone e Borsellino e alle rispettive scorte avvenuti entrambi nel 1992. Era ancora imputato nel processo per la cosiddetta trattativa Stato – mafia: finché la salute glielo ha consentito, ha sempre seguito le udienze del processo in videoconferenza. Secco il commento di Maria Falcone, la sorella di Giovanni: «Non provo né gioia né perdono».

Il «battesimo» criminale a 18 anni, con l’accusa di aver ucciso un coetaneo durante una rissa: condannato a 12 anni di prigione. Grazie a questa prova criminale Luciano Liggio lo arruola nel suo gruppo di fuoco appena uscito di prigione e lo fa entrare in Cosa Nostra. Nel dicembre 1963, viene fermato nuovamente dai carabinieri di Agrigento: ha con sé una carta d’identità rubata e una pistola. Torna in carcere all’Ucciardone ma viene scarcerato per insufficienza di prove nel 1969. Da allora inizia la sua lunga latitanza, durata oltre 20 anni e costellata di delitti eccellenti: nel 1969 insieme a Bernardo Provenzano e altri boss uccide a colpi di mitra il boss Michele Cavataio e altri quattro picciotti in quella che per le cronache sarà la strage di viale Lazio. E’ la volta poi dell’omicidio del procuratore di Palermo Pietro Scaglione.

Poi è il tempi dei delitti politici, ordinati e eseguiti: l’ex segretario provinciale della dc Michele Reina e il presidente della Regione Piersanti Mattarella. Sono gli anni Ottanta ed è il momento della vera ascesa di Riina a «capo dei capi»: soldi, droga, speculazioni edilizie e altre delitti. Fu condannato in contumacia all’ergastolo durante il «maxiprocesso» voluto da Falcone, a inchiodarlo il primo pentito eccellente di Cosa Nostra, Tommaso Buscetta. Riina si vendica ordinando la morte di undici suoi parenti. Quando la sua condanna al carcere a vita diventa definitiva dichiara guerra allo Stato, ed in particolare ai giudici che ne hanno decretato la condanna: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La cattura avviene il 15 gennaio del 1993, a Palermo. Totò Riina non aveva mai lasciato la Sicilia. C’è chi dice che a «venderlo» sia stato Bernardo Provenzano. In carcere, non si pentirà mai.

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