Prime elezioni legislative in Iraq, dopo la sconfitta dell’Isis, le quarte dalla caduta del regime di Saddam Hussein, quindici anni fa. Un voto che dà conto e misura di un Paese sempre più frantumato, eterodiretto, con spaccature che attraversano dall’interno le varie comunità etniche e religiose. Sono ben ottantotto le liste che si contendono i trecentoventinove seggi parlamentari, di cui nove riservati alle minoranze religiose non islamiche.
Resta centrale l’elemento etnico confessionale. 25% dei seggi alle donne.
I cittadini iracheni eleggeranno i membri del Consiglio dei rappresentanti, che a loro volta nomineranno il presidente e il primo ministro dell’Iraq. I candidati per il parlamento sono 6.900, provenienti da ottantasette partiti. Le candidate sono 2.011 e la legge garantisce loro il venticinque per cento dei seggi. Fra i circa ventiquattro milioni e mezzo di iracheni chiamati alle urne è sempre l’elemento etnico confessionale a tracciare appartenenze ben più forti del sentimento nazionale.
Il premier uscente cerca di capitalizzare la vittoria contro l’ISIS.
Questa volta, oltre alle tradizionali contrapposizioni confessionali ed etniche tra sciiti e sunniti e tra arabi e curdi, si aggiungono le spaccature all’interno di questi stessi campi. Il premier uscente Haider al-Abadi, a capo di Nasr al-Iraq (“Vittoria dell’Iraq”), come indica il nome, vuole capitalizzare la vittoria contro lo Stato Islamico in funzione di unità nazionale. Il suo principale rivale è l’ex primo ministro Nuri al-Maliki con Dawlat al-Qanun (“Lo Stato di diritto”) pure lui erede, con lo stesso Abadi, della tradizione del Dawa, la storica formazione dell’opposizione a Saddam Hussein.
Sciiti radicali e comunisti contro la corruzione.
Nuova forza, nel campo sciita, è al-Fatah, raggruppamento sorto dalle milizie della Mobilitazione popolare con strettissimi legami con Teheran. Altro componente del blocco sciita è Hikma (“Saggezza”), guidata dall’ayatollah Ammar al-Hakim. Peculiare la scelta del leader radicale sciita Maqtada al-Sadr di correre – con il comune obiettivo della lotta alla corruzione – in una alleanza elettorale con il partito comunista iracheno.