Pensioni, esodati: intervista a Luigi Metassi

Pensioni e Legge di Bilancio: intervista a Luigi Metassi, amministratore del Comitato Esodati Licenziati e Cessati.

Pensioni, esodati: intervista a Luigi Metassi

Tra gli emendamenti al DDL Bilancio presentati in Commissione Bilancio al Senato sono presenti alcune proposte emendative che riguardano gli esodati non rientrati nelle otto salvaguardie pensionistiche varate nel corso degli anni. Ne abbiamo discusso con Luigi Metassi, amministratore del Comitato Esodati Licenziati e Cessati. Qualcosa si muove per i 6.000 esodati esclusi dalle salvaguardie? “Al momento non c’è un quadro definitivo degli emendamenti proposti; soprattutto non è dato sapere se e quanti di questi verranno ammessi. Il materiale sul quale, al momento, si possono esprimere considerazioni di qualche spessore è attualmente circoscritto agli emendamenti presentati, a prima firma, dal Sen. Nannicini (PD) e dall’ On. Laforgia (LeU).

Allo stato dell’arte – mi riferisco agli emendamenti presentati da LEU – osservo che, a livello politico, poco si è compreso – o si vuole comprendere – della specificità del contesto di diritto che caratterizza l’intera vicenda esodati. Una vicenda che, anche per parte degli stessi esodati (o presunti tali), ha concesso eccessivo spazio a polemiche inconcludenti e fuorvianti intorno ad una malintesa, talvolta strumentale, pretesa esistenza di un certo diritto quesito per il semplice fatto di aver lasciato il lavoro prima della riforma. Nulla di più fuorviante ovviamente. Non esiste alcun diritto quesito bensì esiste l’obbligo, da parte del legislatore, di non intervenire retroattivamente, in misura significativa, nei confronti del lavoratore che, ancorché fosse ancora in attività, si trovi in fase previgente il pensionamento.

Questo lo spiega molto bene la letteratura costituzionale nella la sentenza 822/1988. Questo significa, per esempio, che chi lasciò il lavoro molti anni prima della riforma, o magari lo lasciò ancora in giovane età, non può essere considerato un esodato. In ottica di politiche sociali ed espansive, occorre offrire soluzioni a costoro ma siamo ovviamente fuori da una tematica di salvaguardia. Per altro verso, un provvedimento di salvaguardia, per sua stessa natura, non può assumere carattere strutturale ma deve necessariamente prevedere un termine al conseguimento del diritto. Un termine che, in Italia, non ha mai superato i sette anni e, in ambito UE, non è mai andato oltre i dieci, dodici anni. Se la VIII salvaguardia non avesse introdotto pesanti discriminazioni (cinque anni e oltre) a favore di una sola categoria di esodati, in base a quanto detto prima, ora non sussisterebbe alcuna valida motivazione per chiedere una ulteriore salvaguardia e, nei confronti degli esclusi, si potrebbe procedere unicamente attraverso ulteriori flessibilizzazioni dell’attuale regime pensionistico.

Le discriminazioni introdotte, in base al dettato dell’ art. 3 della Costituzione, legittimano la richiesta di sanatoria del vulnus con una nuova e ultima salvaguardia che allinei alla categoria finora avantaggiata i termini ultimi per il raggiungimento dei requisiti attualmente attribuiti alle restanti. Il riferimento ai requisiti piuttosto che alle decorrenze non è casuale. I requisiti non cambiano se si proviene dal settore privato piuttosto che pubblico o autonomo; le decorrenze invece cambiano e anche sensibilmente. Se il discriminante fosse la decorrenza, in una situazione borderline in cui il lavoratore del privato fosse salvaguardato, il pari requisiti del settore autonomo verrebbe escluso. In ultimo, non bisogna dimenticare la forte discriminazione nei confronti delle donne.

Questi sono i punti fondamentali, dai quali non si puó derogare se parliamo di sanatoria esodati. Se parliamo di altro, come parrebbe dalla lettura degli emendamenti presentati da LEU, allora tutto puó andar bene. Puó andar bene continuare a parlare di decorrenze perpetrando le diseguaglianze, puó andar bene parlare di transitori senza limiti temporali che, oltre a rappresentare un assurdo concettuale che apre le porte ad un esercito di non esodati, difficilmente potrà sfuggire alla scure della Ragioneria di stato. Puó andar bene parlare di contribuzione forfettaria nei confronti anche di persone, da otto anni prive di reddito, che non hanno nemmeno i soldo per curarsi e, in qualche caso, neanche più una casa o una famiglia. Puó andar bene parlare di estendere Opzione Donna ad ex lavoratrici che non hanno accumulato neanche trent’anni di contributi. L’importante è che, in tal caso, si dica chiaramente di chi si sta parlando, senza tirare in ballo gli esodati che, con tali soluzioni, non hanno nulla di che spartire.

L’eccezione a tutto questo è rappresentata da un emendamento presentato dal Sen. Nannicini. Al momento, questo è l’unico emendamento, a me noto, il cui contenuto risulta perfettamente aderente alle considerazioni di cui sopra: dalla definizione dei destinatari (gli stessi già previsti dalla VIII salvaguardia), ai termini di legge (requisiti entro il 31/12/2021 per tutti), per finire al blocco al 2018 della aspettative di vita e degli adeguamenti di genere.

Ora si deve attendere il vaglio delle Commissioni Bilancio e già si prefigura un pesante sfoltimento degli emendamenti. Se dovesse risultare respinto, ci potranno essere ulteriori opportunità per reiterarlo ma è evidente che i margini si restringono via via che il processo avanza. Occorrerebbe però maggiore partecipazione da parte degli esodati e soprattutto maggiore consapevolezza. Da parte degli esodati “per condizione” occorre maggiore consapevolezza delle sostanziali differenze che caratterizzano l’emendamento Nannicini dai restanti dei quali ho accennato; occorre invece consapevolezza, da parte di quegli esodati “per opportunismo”, che entrambi gli obiettivi potrebbero essere più facilmente raggiunti se entrambe le istanze viaggiassero sui loro giusti e separati binari, evitando le inutili e dannose sovrapposizioni che, fino ad ora, hanno solo contribuito al nulla di fatto”.

Perchè la maggior parte dei 6.000 esodati rimasti è composta da donne?

“La discriminante incidenza che stanno esercitando le aspettative di vita e gli adeguamenti di genere sul mondo femminile è pesantissima anche se ultimamente, da parte dell’esecutivo, sulla questione in generale spuntano segnali di una maggiore sensibilità, quanto meno in prospettiva. Non è un caso se attualmente la platea che compone il mondo esodati sia prevalentemente femminile. I soli adeguamenti di genere, ogni anno, comportano sei mesi di incremento al requisito anagrafico. Va da se che, fermo restando il trend, da qui al 2021, ben poche donne potrebbero rientrare in una eventuale salvaguardia se non si attuasse anche un blocco dei requisiti ai valori del 2018. Teniamo presente che la bassa contribuzione esclude le donne da tutti gli attuali regimi di flessibilità pensionistica, compreso Opzione Donna che comunque resta economicamente improponibile a chi non sia in possesso di alte contribuzioni accompagnate da redditi da lavoro medio-alti”.

Quali risorse sono necessarie per chiudere definitivamente la questione degli esodati? Dove dovrebbero essere recuperate? 

“Reperire le coperture e ripartirle per annualità è tipicamente cosa che spetta al legislatore. Noi possiamo solo formulare ipotesi di massima. Detto questo, i precedenti emendamenti, per 6.000 soggetti, si attestavano su una previsione di costo che si aggirava intorno ai 350 milioni. Considerando che il tempo abbrevia la distanza dalla data di pensionamento presa a riferimento (67 anni) sarei portato a pensare che oggi il costo potrebbe risultare inferiore ma preferisco attenermi alla previsione di costo elaborata dal Sen. Nannicini, il cui emendamento si cala perfettamente nella sostanza di un provvedimento di sola ed effettiva sanatoria del vulnus in questione.

Si parla di salvaguardare fino a 7.000 soggetti che raggiungano i requisiti da qui al 31/12/2021, con un costo complessivo di 635 milioni; spesa annualmente variamente ripartita a partire dal 2020, per finire nel 2025. Le coperture economiche si prevede di recuperarle dal Fondo Sociale per l’Occupazione e per la Formazione (FOSF)”.

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