Papa Francesco, udienza generale: “Dio risponde sempre, nessuna preghiera resterà inascoltata”

Mercoledì 9 gennaio 2019 Papa Francesco celebrerà l'udienza generale in Piazza San Pietro. Intanto, vi facciamo un piccolo riepilogo dell'omelia di ieri.

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Oggi mercoledì 9 gennaio 2019 il Pontefice ha celebrato l’udienza generale in Piazza San Pietro al cospetto di centinaia di fedeli. Ci ha spiegato il Pontefice: «La catechesi di oggi fa riferimento al Vangelo di Luca. Infatti, è soprattutto questo Vangelo, fin dai racconti dell’infanzia, a descrivere la figura del Cristo in un’atmosfera densa di preghiera. In esso sono contenuti i tre inni che scandiscono ogni giorno la preghiera della Chiesa: il Benedictus, il Magnificat e il Nunc dimittis.

E in questa catechesi sul Padre Nostro andiamo avanti, vediamo Gesù come orante. Gesù prega. Nel racconto di Luca, ad esempio, l’episodio della trasfigurazione scaturisce da un momento di preghiera. Dice così: “Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”. Ma ogni passo della vita di Gesù è come sospinto dal soffio dello Spirito che lo guida in tutte le azioni. Gesù prega nel battesimo al Giordano, dialoga con il Padre prima di prendere le decisioni più importanti, si ritira spesso nella solitudine a pregare, intercede per Pietro che di lì a poco lo rinnegherà.

Dice così: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno”. Questo consola: sapere che Gesù prega per noi, prega per me, per ognuno di noi perché la nostra fede non venga meno. E questo è vero. “Ma padre, ancora lo fa?” Ancora lo fa, davanti al Padre. Gesù prega per me. Ognuno di noi può dirlo. E anche possiamo dire a Gesù: “Tu stai pregando per me, continua a pregare che ne ho bisogno”.

Perfino la morte del Messia è immersa in un clima di preghiera, tanto che le ore della passione appaiono segnate da una calma sorprendente: Gesù consola le donne, prega per i suoi crocifissori, promette il paradiso al buon ladrone, e spira dicendo: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. La preghiera di Gesù pare attutire le emozioni più violente, i desideri di vendetta e di rivalsa, riconcilia l’uomo con la sua nemica acerrima, riconcilia l’uomo con questa nemica, che è la morte.

È sempre nel Vangelo di Luca che troviamo la richiesta, espressa da uno dei discepoli, di poter essere educati da Gesù stesso alla preghiera. E dice così: “Signore, insegnaci a pregare”. Vedevano lui che pregava. “Insegnaci – anche noi possiamo dire al Signore – Signore tu stai pregando per me, lo so, ma insegna a me a pregare, perché anche io possa pregare”. Da questa richiesta – «Signore, insegnaci a pregare» – nasce un insegnamento abbastanza esteso, attraverso il quale Gesù spiega ai suoi con quali parole e con quali sentimenti si devono rivolgere a Dio.

La prima parte di questo insegnamento è proprio il Padre Nostro. Pregate così: “Padre, che sei nei cieli”. “Padre”: quella parola tanto bella da dire. Noi possiamo stare tutto il tempo della preghiera con quella parola soltanto: “Padre”. E sentire che abbiamo un padre: non un padrone né un patrigno. No: un padre. Il cristiano si rivolge a Dio chiamandolo anzitutto “Padre”.

Gli insegnamenti di Gesù sugli atteggiamenti che deve avere il credente

Ha continuato il Pontefice nell’udienza di oggi: «In questo insegnamento che Gesù dà ai suoi discepoli è interessante soffermarsi su alcune istruzioni che fanno da corona al testo della preghiera. Per darci fiducia, Gesù spiega alcune cose. Esse insistono sugli atteggiamenti del credente che prega. Per esempio, c’è la parabola dell’amico importuno, che va a disturbare un’intera famiglia che dorme perché all’improvviso è arrivata una persona da un viaggio e non ha pani da offrirgli. Cosa dice Gesù a questo che bussa alla porta, e sveglia l’amico?: “Vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono”. Con questo vuole insegnarci a pregare e a insistere nella preghiera. E subito dopo fa l’esempio di un padre che ha un figlio affamato. Tutti voi, padri e nonni, che siete qui, quando il figlio o il nipotino chiede qualcosa, ha fame, e chiede e chiede, poi piange, grida, ha fame: “Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce?”. E tutti voi avete l’esperienza quando il figlio chiede, voi date da mangiare quello che chiede, per il bene di lui.

Con queste parole Gesù fa capire che Dio risponde sempre, che nessuna preghiera resterà inascoltata, perché? Perché Lui è Padre, e non dimentica i suoi figli che soffrono. Certo, queste affermazioni ci mettono in crisi, perché tante nostre preghiere sembra che non ottengano alcun risultato. Quante volte abbiamo chiesto e non ottenuto – ne abbiamo l’esperienza tutti – quante volte abbiamo bussato e trovato una porta chiusa? Gesù ci raccomanda, in quei momenti, di insistere e di non darci per vinti. La preghiera trasforma sempre la realtà, sempre. Se non cambiano le cose attorno a noi, almeno cambiamo noi, cambia il nostro cuore. Gesù ha promesso il dono dello Spirito Santo ad ogni uomo e a ogni donna che prega.

Possiamo essere certi che Dio risponderà. L’unica incertezza è dovuta ai tempi, ma non dubitiamo che Lui risponderà. Magari ci toccherà insistere per tutta la vita, ma Lui risponderà. Ce lo ha promesso: Lui non è come un padre che dà una serpe al posto di un pesce. Non c’è nulla di più certo: il desiderio di felicità che tutti portiamo nel cuore un giorno si compirà. Dice Gesù: “Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?”. Sì, farà giustizia, ci ascolterà. Che giorno di gloria e di risurrezione sarà mai quello! Pregare è fin da ora la vittoria sulla solitudine e sulla disperazione. Pregare. La preghiera cambia la realtà, non dimentichiamolo. O cambia le cose o cambia il nostro cuore, ma sempre cambia. Pregare è fin da ora la vittoria sulla solitudine e sulla disperazione. È come vedere ogni frammento del creato che brulica nel torpore di una storia di cui a volte non afferriamo il perché. Ma è in movimento, è in cammino, e alla fine di ogni strada, cosa c’è alla fine della nostra strada? Alla fine della preghiera, alla fine di un tempo in cui stiamo pregando, alla fine della vita: cosa c’è? C’è un Padre che aspetta tutto e aspetta tutti con le braccia spalancate. Guardiamo questo Padre.

Ricordando le parole di Papa Francesco nell’omelia a Santa Marta

Nell’omelia a Santa Marta di martedì 8 gennaio 2019 ha così commentato il Vangelo della moltiplicazione dei pani: «Dio “fa il primo passo” e ci ama, perché ha compassione e misericordia, mentre noi anche se siamo buoni, tante volte non capiamo i bisogni degli altri e restiamo indifferenti “forse perché l’amore di Dio” non è entrato nei nostri cuori». Il Pontefice guarda al brano del Vangelo di Marco sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci e commenta così l’operato del Signore: “Perché Dio ha fatto questo? Per ‘compassione’”. Compassione della grande folla che vede scendendo dalla barca, sulle rive del lago di Tiberiade, perché erano soli, sottolinea Papa Francesco: “erano come pecore che non hanno pastore”.

Il cuore di Dio, il cuore di Gesù si commosse, e vede, vede quella gente, e non può restare indifferente. L’amore è inquieto. L’amore non tollera l’indifferenza. L’amore ha compassione. Ma compassione significa mettere il cuore in gioco; significa misericordia. Giocare il proprio cuore verso gli altri: è questo l’amore. L’amore è mettere il cuore in gioco per gli altri.

Il Papa descrive la scena di Gesù che insegna “molte cose” alla gente e i discepoli, alla fine, si annoiano, “perché Gesù diceva sempre le stesse cose”. E mentre Gesù insegna “con amore e compassione”, forse cominciano “a parlare tra loro”. Alla fine guardano l’orologio: “Ma è tardi…”. E Francesco cita ancora l’evangelista Marco: “Ma Maestro, il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare”. Praticamente dicono “che si arrangino” e che comprino loro il pane. “Ma noi stiamo sicuri – commenta il Pontefice – loro sapevano di avere pane per loro, e volevano custodire quello. È l’indifferenza”.

Ai discepoli non interessava la gente: interessava Gesù, perché gli volevano bene. Non erano cattivi: erano indifferenti. Non sapevano cosa fosse amare. Non sapevano cosa fosse compassione. Non sapevano cosa fosse indifferenza. Questa è la lotta fra la compassione di Gesù e l’indifferenza, l’indifferenza che si ripete nella storia sempre, sempre. “Tante gente che è buona, ma non capisce i bisogni altrui, non è capace di compassione. È gente buona, forse perché non è entrato l’amore di Dio nel loro cuore o non lo hanno lasciato entrare”.

L’amore di Dio sempre va per primo – spiega il Papa – è amore di compassione, di misericordia”. È vero che l’opposto dell’amore è l’odio, ma in tanta gente non c’è “un odio cosciente”. L’opposto più quotidiano all’amore di Dio, alla compassione di Dio, è l’indifferenza: l’indifferenza. “Io sono soddisfatto, non mi manca nulla. Ho tutto, ho assicurato questa vita, e anche l’eterna, perché vado a Messa tutte le domeniche, sono un buon cristiano”. “Ma, uscendo dal ristorante, guardo da un’altra parte”.

Pensiamo: questo Dio che dà il primo passo, che ha la compassione, che ha misericordia e tante volte noi, il nostro atteggiamento è l’indifferenza. Preghiamo il Signore perché guarisca l’umanità, cominciando da noi: che il mio cuore guarisca da questa malattia che è la cultura dell’indifferenza.

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